Le prime indiscrezioni circa il contenuto dell’art. 4 della legge di Bilancio per l’anno 2019 confermano l’intervento del Governo in materia di flat tax per partite IVA e piccole imprese(cfr. comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 23 del 15 ottobre 2018). Il nuovo regime – più che configurare una vera e propria flat tax – consiste essenzialmente nell’estensione delle soglie del regime forfettario (di cui alla legge n. 190/2014) garantendo così l’applicazione di un’aliquota del 15%, sostitutiva dell’imposta progressiva sul reddito delle persone fisiche, fino ad un tetto massimo di 65.000 euro di fatturato/incassi.
Inoltre l’accesso al nuovo regime forfettario non sarebbe più vincolato al rispetto di limiti di spesa per dipendenti e collaboratori, attualmente pari a 5.000 euro ai sensi dell’art. 1, comma 54, lettera b), della legge n. 190/2014 e per beni strumentali, attualmente pari a 20.000 euro ai sensi della lettera c).
Allo stesso tempo sarebbero rinforzate le cause di esclusione dall’adozione elencate al successivo comma 57. Potrebbe costituire infatti causa di esclusione dal regime in parola la partecipazione in qualsiasi società a responsabilità limitata e non più soltanto ad S.r.l. “trasparenti” ai sensi dell’art. 116 TUIR. L’accesso al regime sarebbe inoltre precluso a coloro i quali hanno percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati nel corso dell’anno precedente e che esercitano la nuova attività di impresa, arte o professione prevalentemente nei confronti di uno dei datori di lavoro dei due anni precedenti o di soggetti ad essi riconducibili.
Regimi a confronto
Per apprezzare le misure in discussione, risulta opportuno eseguire un’analisi comparativa tra i regimi attualmente in vigore:
–
regime di vantaggio (ex minimi)
ex D.L. n. 98/2011, valido solo per i soggetti che vi hanno aderito entro il 31 dicembre 2015 fino a naturale scadenza e nel limite di ricavi/compensi previsto dalla norma;
–
regime normale ex D.P.R. n. 600/1973 e
TUIR (N.B. definito “normale” e non “ordinario” per non creare confusione con le disposizioni in materia di contabilità ordinaria).
Si riepilogano nella tabella seguente i caratteri fondamentali dei suddetti regimi:
L’adesione ai regimi agevolativi attualmente in vigore risulta più conveniente rispetto al regime normale per le seguenti ragioni:
– applicabilità di un’imposta sostitutiva del 5% o del 15% (a seconda dei casi) nei limiti dei ricavi/compensi previsti dalle rispettive normative;
– differente impatto dei costi, soprattutto se determinati in modo forfettario;
– adempimenti contabili e fiscali semplificati;
Tuttavia, come noto, l’adozione di un regime agevolativo (si ricorda che, per ora, in caso di nuova attività sarà possibile aderire al solo regime forfettario ex legge n. 190/2014), potrebbe portare anche ad alcuni svantaggi in termini di:
– scarsa convenienza ad incrementare il proprio volume d’affari in quanto il superamento dei limiti di fatturato (per cassa) comporta la decadenza dalle agevolazioni e conseguente applicazione del regime normale almeno nel periodo di imposta successivo. Pertanto, tale dinamica risulta particolarmente svantaggiosa per i professionisti soggetti ad ampie variazioni di ricavi/compensi;
– aumento del potere contrattuale in capo ai clienti, in particolare per i consulenti mono-mandatari (i.e. giovani professionisti di studi strutturati), i quali potrebbero far leva sullo svantaggio fiscale derivante dal superamento delle soglie di Legge, evitando e/o rallentando l’innalzamento progressivo dei compensi.
Infine, occorre ricordare un’ultima importante distinzione per quanto attiene il “peso” deicontributi previdenziali in caso di professionisti dotati di una cassa professionale di appartenenza, professionisti non dotati di una cassa professionale di appartenenza (ovvero che sono chiamati ad adempiere agli obblighi contributivi di cui alla Gestione Separata INPS) e le cd. ditte individuali (chiamate ad adempiere agli obblighi contributivi di cui alla Gestione per Artigiani e Commercianti).
Pertanto, considerando il differente impatto di tali regimi contributivi, è evidente che vi saranno differenti risultati in termini di reddito disponibile, ovvero di effettiva capacità di spesa e/o risparmio in capo al singolo contribuente.
Si propongono nel seguito alcuni esempi numerici relativi ai diversi regimi applicabili.
Ipotesi
Due diverse tipologie di contribuenti: dottore commercialista e altro professionista;
Determinazione dei costi inerenti l’attività professionale:
– in caso di determinazione analitica del reddito: pari al 10% del fatturato totale;
– in caso di determinazione forfettaria del reddito: pari al 22% del fatturato totale (in quanto coefficiente di redditività secondo i codici ATECO è pari al 78%).
Contributi previdenziali, due casistiche a confronto:
– dottore commercialista: è iscritto alla cassa di previdenza di categoria (CNPADC). Contributo minimo soggettivo pari al 12%;
– altro professionista: è iscritto alla Gestione Separata INPS. Contribuzione minima pari al 25,72%;
I contribuenti non sono intitolati ad ottenere nessun’altra deduzione o detrazione oltre ai costi e ai contributi previdenziali così come determinati ai punti precedenti;
I contribuenti non sono tenuti a versare gli acconti d’imposta.
Esempio n. 1: confronto tra regimi agevolativi attualmente in vigore e regime normale
Primo caso: dottore commercialista iscritto alla CNPADC
Secondo caso: altro professionista iscritto alla Gestione Separata INPS.
I dati di cui alle tabelle precedenti evidenziano i diversi risultati ottenibili dal medesimo contribuente (dottore commercialista o altro professionista), a parità di condizioni, nei tre diversi regimi attualmente in vigore.
I diversi risultati in termini di reddito disponibile (i.e. capacità di spesa e/o risparmio) sono influenzati:
– dai diversi criteri di determinazione del reddito: in caso di determinazione forfettaria del reddito (dati di cui alle colonne n. 2) – a parità di costi effettivi sostenuti (nel caso in esame pari al 10% del fatturato/incassi) – il contribuente trarrà beneficio dalla determinazione di una base imponibile inferiore rispetto a quella determinata analiticamente. Pertanto, al fine di ottenere una comparazione dei risultati effettivi in termini di reddito disponibile, è stata operata una sterilizzazione pari al differenziale tra i costi effettivamente sostenuti (per ipotesi pari al 10% del fatturato: 3.000 euro) e i costi determinati mediante i coefficienti di redditività (pari al 22% del fatturato: 6.600 euro), dinamica che porta ad un “effetto cassa” positivo pari a 3.600 euro;
– dalle diverse forme di contribuzione previdenziale: a parità di ricavi/compensi è evidente che i contributi previdenziali minimi hanno un “peso” in termini di cash flow totalmente diverso per quanto riguarda la contribuzione CNPADC (12%) e la contribuzione alla Gestione Separata INPS (25,72%). L’effetto delle diverse forme di contribuzione porta a redditività molto diverse in termini di rapporto tra reddito disponibile e fatturato (Cfr. Tabelle Esempio 1, ultima riga);
– dalle diverse aliquote d’imposta applicabili: imposta sostitutiva al 5% o al 15% oppure IRPEF progressiva.
Esempio n. 2: confronto tra regime normale e nuovo regime forfettario
A parità di ipotesi, si propone nel seguito un’analisi comparata tra i due regimi alla soglia di 65.000 euro.
Anche in questo secondo esempio è evidente come i diversi risultati siano influenzati dalle tre dinamiche sopra esposte: diversi criteri di determinazione del reddito, diverse forme di contribuzione previdenziale, diverse aliquote d’imposta applicabili.
Tuttavia, in questo caso, appare utile sottolineare un’ulteriore variabile che potrebbe influenzare la definitiva capacità di spesa/risparmio del Contribuente: il generale aumento “meno che proporzionale” dei costi al crescere del fatturato/incassi. In tal senso, al fine di esemplificare la fattispecie, appare ragionevole sottolineare che – ad esempio – i costi effettivamente sostenuti da un dottore commercialista, per l’esercizio della sua professione, sono destinati a stabilizzarsi nel tempo in quanto, trattandosi di una professione di carattere intellettuale, riguardano poche categorie di spese e/o cespiti che difficilmente risulteranno crescenti nel tempo, a maggior ragione nel caso in cui lo stesso svolga la propria professione mediante strutture e dotazioni di terzi (i.e. grandi studi internazionali). In altre parole, la suddetta casistica porterebbe ad un “effetto sterilizzazione” ancora più ampio e, quindi, ad una maggior reddito disponibile in capo al professionista.
Alcune conclusioni
Al fine di trarre alcune conclusioni, si evidenziano i principali punti critici e/o di attenzione in merito alle future possibili previsioni normative.
Innanzitutto, si renderà necessario il coordinamento tra l’attuale regime “normale” e il nuovo regime forfettario con riguardo alle fattispecie relative a professionisti (e piccole imprese) che, attualmente, si trovano all’interno della “forbice” di ricavi/compensi oltre le soglie del precedente regime “forfettario” ma all’interno del nuovo limite di 65.000 euro (in pratica coloro che attualmente ricadono nel regime normale ma che, in futuro, potrebbero accedere (o ri-accedere) al nuovo regime forfettario). A tal proposito, si presumono specifici chiarimenti ministeriali, a maggior ragione per coloro che hanno adottato il regime normale a partire dal periodo d’imposta 2018.
In aggiunta, si segnalano due ulteriori punti critici che – come in parte evidenziato in precedenza – oltre a rappresentare delle note distorsioni del sistema forfettario, non sembrano essere state risolte dalle presenti disposizioni normative:
– mancata previsione dell’ulteriore deduzione del 35% dei contributi previdenziali INPS(valida per artigiani e commercianti): da un punto di vista fiscale porterebbe ad una riduzione dell’imponibile fiscale nonché ad una minore imposta. In altre parole, tale effetto compenserebbe – almeno parzialmente – lo squilibrio tra i professionisti con Cassa Professionale di appartenenza e i professionisti con Gestione Separata INPS.
– il limite di 65.000 euro è stabilito rispetto ai ricavi/compensi in luogo del reddito imponibile: a tal proposito si evidenzia che tale dinamica, se pensata unitamente alla richiamata criticità relativa al “peso” delle diverse forme di contribuzione, potrebbe portare ad un forte squilibrio a parità di reddito imponibile. Di fatti, mantenendo valide le ipotesi di cui ai precedenti esempi (e senza considerare la possibile previsione (anch’essa in bozza di Legge di Stabilità) di un’imposta sostitutiva del 20% per i redditi da 65.000 a 100.000), a parità di reddito imponibile si otterrebbero risultati sensibilmente differenti:
Infine, come sollevato dagli esponenti di alcuni ordini professionali e associazioni di categoria, si segnala che le presenti disposizioni potrebbero disincentivare la formazione di nuove associazioni tra professionisti in quanto il singolo professionista trarrebbe un maggior beneficio fiscale aderendo personalmente al rinnovato regime di vantaggio piuttosto che – a parità di ricavi/compensi (nel limite previsto) – dando vita ad uno studio associato.