In sede di conversione del decreto Crescita è stato introdotta, in materia di accertamento con adesione, una nuova norma che prevede l’obbligatorietà dell’invito al contribuente prima di procedere ad accertamento.
Sul piano generale è indubbio che il contraddittorio sia espressione minimale di coinvolgimento del contribuente nel procedimento di accertamento. Il legislatore continua ad ostinarsi ad emanare interventi isolati, peraltro mal coordinati con altre disposizioni, anziché procedere, come da sempre auspicato, all’introduzione, nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente, di una norma di carattere generale che sancisca, in maniera chiara e definitiva, due principi che caratterizzano qualsiasi ordinamento giuridico evoluto:
– l’obbligatorietà del contraddittorio;
– la nullità dell’atto impositivo qualora l’amministrazione ometta tale adempimento.
Invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.
Con l’iniziativa legislativa del decreto Crescita, certamente lodevole sul piano delle finalità, si è confermato il trend tradizionale. Anzi, il contenuto della disposizione e il suo mancato coordinamento con altre disposizioni probabilmente finiranno con l’incrementare lo stato confusionale in cui contribuenti e professionisti (oltre alla stessa Amministrazione finanziaria) si muovono quotidianamente.
Un’ingiustificata discriminazione
Per apprezzare l’effettiva portata dell’innovazione occorre premettere che l’art. 5 del D.Lgs. n. 218/1997 già prevede che l’Agenzia delle Entrate proceda ad invitare il contribuente a comparire con l’obbligo di indicare, tra l’altro, “i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte, ritenute e contributi”.
È evidente, pertanto, che il quadro giuridico già prevede una norma che richiede un contraddittorio preventivo prima di procedere all’accertamento con adesione, fermo restando che si tratta di una disposizione che espleta la sua efficacia limitatamente alla particolare procedura di definizione agevolata dell’obbligazione tributaria.
Per effetto dell’art. 5-ter, introdotto dal decreto Crescita, l’ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento.
Al riguardo, occorre premettere due considerazioni.
La prima attiene all’esclusione della particolare procedura qualora il contribuente sia in possesso di un atto – verbale redatto a conclusione del controllo – che, notoriamente, va obbligatoriamente rilasciato al soggetto controllato anche se questi si rifiuta di sottoscriverlo.
La previsione non convince.
Ove l’Amministrazione si orienti per l’accertamento con adesione – come spessissimo avviene, se non altro per esigenze di gettito – L’art. 5 già prevede lo specifico obbligo, a prescindere se il contribuente disponga o meno del verbale di chiusura delle operazioni.
Indubbiamente, il diritto del contribuente di presentare l’istanza di definizione e di difendersi nel giudizio non è conculcato dall’Amministrazione Finanziaria, ma vulnerato solo dalla strumentalizzazione da parte del medesimo dell’istituto cui ha fatto ricorso.
Nel procedimento di accertamento per adesione l’instaurazione del contraddittorio preventivo da parte del fisco indubbiamente è del tutto facoltativa avendo solo la funzione di garantire la necessaria trasparenza dell’azione amministrativa e di consentire al contribuente una immediata cognizione delle questioni sul tappeto.
L’attivazione del procedimento non riveste, dunque, carattere di obbligatorietà essendo l’attivazione stessa lasciata in tutti i casi alla valutazione degli uffici.
Non è casuale, infatti, che il successivo art. 6 preveda la possibilità per il contribuente, al quale sia stato notificato un avviso di accertamento o di rettifica non preceduto dall’invito di attivare, a sua volta, il procedimento di definizione mediante la presentazione di una istanza apposita.
Sulla base delle considerazioni che precedono, non si comprendono le ragioni per le quali l’invito obbligatorio debba ovvero possa essere omesso qualora il contribuente sia già in possesso del verbale di chiusura del controllo.
Non può sfuggire, al riguardo, che, a prescindere se il controllo sia effettuato da personale della Guardia di Finanza o sia affidato a personale dell’Agenzia delle Entrate, tale atto non assume certamente la veste di provvedimento impositivo, atteso che gli elementi rilevati e le eventuali contestazioni operate devono essere sempre valutati dai funzionari preposti all’accertamento sicché i termini per impugnare eventualmente la pretesa del fisco decorrono alla notifica di tale atto.
Non è casuale, peraltro, che per effetto dell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente l’Agenzia delle Entrate non può notificare l’atto impositivo prima della scadenza di 60 giorni dalla data di consegna del verbale, proprio per consentire agli interessati di poter analizzare compiutamente le pretese del fisco ed approntare eventuali memorie da inviare all’Agenzia stessa.
Per completezza, va ricordato che lo schema dell’accertamento con adesione prevedeva una norma ad hoc per l’adesione ai verbali di constatazione (cioè quelli redatti al termine del controllo) soppressa nel 2014.
La discriminazione, pertanto, è ingiustificata posto che la finalità dovrebbe essere unica, a prescindere, cioè, se il contribuente abbia avuto o meno copia del verbale.
Ampiamente condivisibile, invece, l’esclusione del preventivo invito prima della emissione degli avvisi di accertamento parziale previsti in materia sia di imposte sul reddito sia di IVA, proprio in ragione della particolare natura di tali recuperi i quali, riguardando aspetti singoli, da un lato non pregiudicano la futura eventuale azione di accertamento del fisco, dall’altro, sono frutto di singole segnalazioni provenienti da organi istituzionali per cui hanno già subito a monte eventuali riscontri.
L’inutile previsione dell’obbligo della motivazione
L’art. 5-ter, comma 3, dispone che, in caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio.
Sul piano generale, l’obbligo della motivazione non necessita certamente di una esplicita previsione trattandosi di un principio fondamentale dell’ordinamento impositivo, tanto da essere elevato a rango costituzionale.
Con specifico riferimento al comparto tributario, sia in materia di imposte sui redditi (art. 42, D.P.R. n. 600/1973) sia in materia di IVA (art. 56, D.P.R. n. 633/1972) tale obbligo è previsto esplicitamente tanto da sancire la nullità dell’atto impositivo in caso di mancato assolvimento di tale adempimento.
Trattandosi di principi di carattere generale gli stessi trovano applicazione anche con riferimento all’accertamento con adesione.
Ovviamente, l’aver ribadito lo specifico obbligo, ivi compresa l’eventuale declaratoria di nullità, se da un lato non apporta alcun ulteriore vantaggio al contribuente, dall’altro non lo danneggia certamente.
Semmai, si è di fronte all’ennesima prova di un sistema legislativo scoordinato che non aiuta certamente a perimetrare compiutamente adempimenti ed obblighi dl amministrazione e contribuente.
Con riferimento al caso di specie non si comprende come possa essere ritenuto diversamente assolto l’obbligo della motivazione in caso di contraddittorio, soprattutto laddove si consideri che si tratta di procedimento fortemente formalizzato.
Può essere sufficiente ricordare che sia le domande sia le risposte fornite dal contribuente sia le sue dichiarazioni devono essere fatte risultare dal verbale redatto a seguito del contraddittorio sicché sarebbe oltremodo facile evidenziare l’inadempimento dell’Agenzia qualora nell’atto di accertamento non desse contezza delle ragioni per le quali non ha considerato gli elementi forniti dal contribuente.
Ma la nuova disposizione non apporta alcuna novità di rilievo anche sotto altro aspetto, in quanto si tratta di una previsione mutuata dall’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente. Essa prevede che in tutti i casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione, l’ufficio può notificare direttamente l’avviso di accertamento non preceduto dall’invito di cui sopra.
Le regole di garanzia stabilite dallo Statuto hanno valenza generale e non limitata ad ispezioni della Guardia di Finanza. L’art. 12 è, infatti, letteralmente riferito a “tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; la norma richiama, tra l’altro, la “permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente”. L’art. 12, comma 7, in particolare, riguarda verifiche eseguite (non dalla sola Guardia di Finanza ma) da “organi di controllo” in genere.
È indubbio che le regole di garanzia valgano anche per gli enti locali (i quali, come emerge dalla medesima legge, art. 1, hanno l’obbligo di adeguare “i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi dettati dalla presente legge”) nonché, in forza di evidente identità di ratio, per le società a cui gli enti impositori affidino, in concessione, compiti di accertamento e riscossione delle imposte, ivi inclusi (per quanto in questa sede più direttamente rileva) i compiti strumentali, di rilevazione di dati necessari alla determinazione della base imponibile.
Obbligo della prova a carico del contribuente
L’ultima previsione contenuta nell’art. 5-ter, comma 5 è addirittura penalizzante per il contribuente. Essa, infatti, prevede che fuori dei casi di urgenza, il mancato avvio del contraddittorio determinato dall’omesso invito comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento solo se, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato.
La contraddittorietà della previsione con le finalità della norma è evidente.
Se l’invito è obbligatorio, se è previsto l’esonero in casi di urgenza, allora si tratta di un obbligo di carattere generale in capo all’Amministrazione, la cui omissione determina, ope legis, la nullità dell’atto impositivo.
Sono oscure, pertanto, le ragioni per le quali il contribuente, se vuole ottenere la nullità dell’atto, dovrebbe subire l’onere di provare l’interesse ad essere coinvolto.
Anche per tale ipotesi, ma stravolgendone le finalità, si è voluto copiare (male) un principio generale di diritto amministrativo – volto a salvaguardare degli effetti di un atto viziato in caso di mancata comunicazione dell’avviso di rigetto dell’stanza del contribuente di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990 – contenuto nel successivo art. 21-nonies.
Infine, l’assurdità della decorrenza delle disposizioni che si applicano agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020.